Fuoco e pietra: La salamandra di Palazzo Grimani

Palazzo Grimani, Salamandra
Relief Sculpture of a Salamander at Palazzo Grimani

Davanti a una salamandra che brucia, ci si può davvero avvicinare al segreto del desiderio?

È questo il mistero che avvolge il significato della salamandra scolpita su un camino in una sala di Palazzo Grimani, scoperta solo qualche anno fa durante lavori di restauro. Il Palazzo, oggi museo statale, è un luogo dove la passione di Giovanni Grimani per la cultura classica, la mitologia, i suoi simboli si intrecciano con la sua personale vicenda e con la storia della sua famiglia.

Giovanni Grimani e il palazzo

Acquistato alla fine del Quattrocento dal futuro doge Antonio Grimani, il palazzo venne arricchito da straordinarie raccolte di statue antiche, libri e monete grazie al figlio, il cardinale Domenico Grimani, umanista e raffinato collezionista. Fu però la pervicacia del nipote Giovanni, unita al suo gusto raffinatissimo per l’arte e alla capacità di riunire straordinari talenti, a trasformare il palazzo in un autentico capolavoro dell’umanesimo cinquecentesco.

Uomo di vasta cultura e spirito inquieto, Giovanni, pur essendo vescovo di Ceneda e più tardi patriarca di Aquileia, frequentava con una certa libertà ambienti intellettuali spesso sospettati di simpatie luterane. Una denuncia di eresia diede avvio a un lungo esame da parte dell’Inquisizione che, pur concludendosi con l’assoluzione, gli costò il cappello cardinalizio. Giovanni visse la mancata nomina un’onta e un’ingiustizia. Dopo che lo zio e due fratelli avevano ricevuto il titolo, riteneva di averne pieno diritto anche lui.

Ossessionato per tutta la vita dai “diavoli” del Santo Uffizio, Giovanni trasformò il palazzo di famiglia nel luogo della sua discolpa, dove rispondere al sopruso e rivendicare la propria innocenza. Chiamò artisti di spicco del Manierismo romano, come Giovanni da Udine e Giuseppe Salviati, quasi volesse rispondere a Roma con lo stesso linguaggio artistico allora in voga nella città papale.

Nelle storie mitologiche narrate attraverso stucchi e affreschi nelle sale del palazzo, prendono vita le vicende di uomini e dei e le antiche e mai sopite dinamiche di colpa, punizione e redenzione.

La salamandra

Ed è proprio nell’ala del palazzo che Giovanni fece decorare nei tardi anni Trenta del Cinquecento, nella sala un tempo dedicata a Psiche, che dietro una parete è emersa un’antica canna fumaria. Rimossi i detriti dal focolare, al suo interno è riapparso un magnifico bassorilievo: una salamandra che sembra danzare tra le fiamme che la avvolgono.

Ci si può immaginare che, quando il camino veniva acceso, prendesse vita uno spettacolo suggestivo: la creatura che baluginava nel fuoco e volteggiava tra i riverberi delle fiamme come un’ombra cinese sfuggita al suo teatro. Eppure, quando anche l’ultimo ceppo nel focolare si era consumato, la salamandra, poco prima solo un corpo evanescente, tornava pietra. Scolpita nella materia e nera di fuliggine, la creatura che incarnava il desiderio rimaneva lì, come una presenza concreta, pronta ad ardere di nuovo.

Se al livello del pavimento la salamandra costituiva un fulcro ipnotico che catturava gli sguardi dei presenti, sul soffitto splendevano le sensuali tele di Francesco Salviati con le storie di Amore e Psiche, a ricordare che, come gli uomini, anche gli dei patiscono i tormenti della passione. Gli affreschi e la salamandra formavano un unicum simbolico: un tributo al potere dell’amore, umano e divino, capace di resistere alle prove più ardue. La fiaba, narrata nelle Metamorfosi di Apuleio, racconta come Venere, capricciosa madre di Amore, ostacolasse in tutti i modi l’amore tra il figlio e la bellissima principessa Psiche. La giovane seppe però affrontare sfide implacabili, fino a conquistare l’immortalità e il consenso di Venere alle nozze.

Il tema della fiaba, insieme alla salamandra, celebrava così il trionfo del desiderio. La tenacia della passione e la capacità di affrontare le dure condizioni che questa talvolta pone si sublimavano alla fine in una forza divina capace di condurre alla felicità amorosa, all’unione tra umano e divino. Nonostante la coerenza tematica della sala, l’animale, con i suoi molti rimandi simbolici, evocava anche la forza morale di Giovanni Grimani e la fede incrollabile che gli consentiva di resistere alle accuse e alla persecuzione dell’Inquisizione.

Le Metamorfosi

I temi delle due sale successive, ispirati alle Metamorfosi di Ovidio, sono dedicati alla ninfa Callisto, trasformata in un’orsa da Giunone e poi da Giove nella costellazione, e a Marsia, l’imprudente satiro che, dopo aver osato sfidare Apollo in una gara musicale, fu scorticato come punizione per la sua superbia. Ancora una volta assistiamo alle ingiustizie degli dei: se per Amore e Psiche, dopo la sofferenza, trionfa un lieto fine. L’unico modo per sottrarre Callisto al suo destino è perpetuarla nelle stelle del cielo. Di Marsia, invece, non resta che la memoria, affidata al nome di un fiume sgorgato dalle lacrime di pietà delle divinità silvane.

Il ricorso alla metamorfosi, nelle storie mitologiche, è lo strumento attraverso cui gli dei cercano di aggiustare i torti che, spesso per vanagloria, infliggono agli dei minori o ai mortali. Allo stesso modo, Giovanni Grimani trasforma il palazzo in un documento della sua vita, affidando all’arte, come lascito per i posteri, il compito di ristabilire giustizia sulla propria vicenda.

Quasi mezzo millennio dopo, camminando tra le sale, pare ancora di sentire echeggiare la sua voce, forse solo un sussurro di rivincita, lasciato in custodia alla storia.

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