
Camminando per Palazzo Ducale, ci sono momenti in cui il tempo sembra sospendersi. Si alza lo sguardo, e tra le cornici dorate dei soffitti appare Venezia, che sullo sfondo di un cielo dipinto di lapislazzuli continua a regnare, immutabile Regina dei Mari.
Bionda, trionfante, con lo scettro in mano, vestita d’oro e d’ermellino o mentre riceve la corona: Venezia come una Regina. Così la rappresentarono Paolo Veronese nel Cinquecento e, due secoli più tardi, Tiepolo, suo fecondo erede.
Nel Rinascimento, Venezia era la capitale di una potente Repubblica, un centro politico, economico e culturale e la sua immagine doveva essere affidata ad artisti capaci di tradurre in arte la strategia del governo, volta a celebrare, con ogni singola pennellata, il mito di una Serenissima invincibile e illuminata.
Quando Paolo Veronese fu chiamato a collaborare alla decorazione della Sala del Consiglio dei Dieci a Palazzo Ducale, non aveva ancora venticinque anni eppure già possedeva un talento straordinario nell’uso di colori lucidi, pieni e vibranti.
In “Venezia riceve i simboli del potere da Giunone”, il pittore rappresentò una giovane Venezia estatica al cospetto della dea: il braccio destro è proteso per accogliere le monete d’oro, il corno ducale e la corona reale che la consacra Regina dei Mari. Lo scambio di gesti e di sguardi tra le due regine suggella l’alleanza tra Venezia e la dea più potente dell’Olimpo, un onore concesso solo a una Repubblica dalle virtù straordinarie.
Oltre vent’anni dopo, l'artista creò per la sala del Collegio un’altra maestosa immagine della Regina dei Mari: assisa in trono sotto un baldacchino e con lo sguardo rivolto verso un invisibile orizzonte. Ai suoi piedi, Giustizia e Pace, vestite di seta e broccato, sembrano le ancelle di un regno giusto e sicuro. Una regge la spada e la bilancia, l’altra il ramo di ulivo; insieme le tre figure creano una composizione piramidale in cui le sorti dell’impero veneziano sembrano affidate a salde mani femminili.
Al culmine della sua carriera, al maestro venne commissionata una Venezia trionfante per il soffitto del Maggior Consiglio, la sala dove i nobili si riunivano per governare. La Regina riappare nella maestosità degli ori, tra colonne tortili e una moltitudine di persone che la acclamano. La Vittoria le si avvicina con la corona, ma questa volta, nonostante il tripudio dei panneggi e dei colori che la circonda, Venezia sembra avvertire tutto il peso di quell’onore. Lo sguardo va verso il suo popolo, ma è uno sguardo più incerto, forse malinconico rispetto alla splendida sovrana dipinta per il Collegio.
Sulla balaustra si affacciano donne nobili insieme ai figli e alle nutrici: ancora una volta l’allegoria del potere si dispiega attraverso figure femminili - alle quali, nella realtà, corrispondeva ben poca autonomia e ancora meno capacità di influenzare la politica.
A guardare queste opere in ordine cronologico, la regina di Veronese sembra invecchiare insieme a lui: dalla giovane trasognata davanti a Giunone, alla imperturbabile sovrana sostenuta da Pace e Giustizia, fino al Trionfo, che pare gravato da un prezzo troppo alto.
Due secoli dopo, Gian Battista Tiepolo, l’ultimo seduttore dell’arte veneziana, creatore di un mondo sensuale di carni nude, di gioielli e sete, offrì nella Sala delle Quattro Porte l’immagine di una Regina che per tema e colori vibranti richiama quella di Veronese.
L’acconciatura di trecce bionde, la corona sul capo e il manto di ermellino rimandano al lontano maestro, ma la vibrazione della luce che quasi dissolve la materia, il blu più cupo del cielo e le palpebre pesanti raccontano di una regnante magnifica e stanca, di un potere che sta scivolando via, e lascia spazio a un’ineffabile presenza, destinata a rimanere nella memoria.
Venezia stava uscendo dalla storia, pronta a varcare la soglia del mito.